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  Quest'anno 2014, già in febbraio, suor Maria Cecilia Zaffi ha concluso l'ordinamento, lo studio e l'interpretazione degli appunti presi da Bernardo Boldini al tempo del Noviziato con il Ven. padre Romano Bottegal, corredandolo di foto scelte una per una. Poi, a fine giugno, il lavoro è stato rivisto anche dall'ex novizio venuto a santa Maria nel Silenzio, che ha aggiunto qualche ricordo personale e qualche appunto che ha ancora ritrovato. La stampa -consegnata anche a molti monasteri trappisti- è apparsa a settembre, a Cura della Vicepostulazione, però sarà un problema citarla perché solo leggendo si potrà capire come farlo giustamente.

Romano è nato nel 1921 a san Donato di Lamon (Belluno) in una famiglia molto povera. Ultimo di sei figli, dopo le scuole elementari, entrò nel seminario minore di Feltre e poi in quello maggiore di Belluno, dove ebbe come vice-rettore don Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I, che lo apprezzò molto.  A 18 anni fece il voto perpetuo di castità, e, durante gli anni di teologia, maturò il desiderio della vita monastica, per abbracciare la quale però i superiori e il direttore spirituale gli chiesero di attendere l’ordinazione sacerdotale. La ricevette il 29 giugno 1946, e, appena ordinato, lasciò la propria diocesi per entrare nell’abbazia delle Tre Fontane, a Roma. Là fece la professione solenne nel 1951 e seguì dei corsi all’Università Gregoriana, dove, nel 1953, ottenne la licenza di teologia.

Alla Trappa, fu maestro dei  fratelli conversi, cantore, poi maestro dei novizi e priore. Nel 1961, rispose all’appello dell’abate di Latroun (Israele), che cercava dei volontari per realizzare in Libano una fondazione trappista di rito maronita. Ottenne dai superiori di partecipare a questo tentativo, che si preparava a Latroun, dove incominciò a studiare l’arabo, il siriaco e la liturgia orientale. Nel mese di dicembre dl 1963, dato che il progetto libanese non era stato avallato dal Capitolo generale dei trappisti, rientrò alle Tre Fontane. Qui il suo abate, conoscendo la serietà e la virtù del suo monaco, gli permise di condurre una vita solitaria nel territorio del monastero. Poco più tardi però, gli fu negata tale possibilità dal nuovo superiore delle Tre Fontane. Padre Romano, ormai convinto di essere chiamato dal Signore ad una vita più solitaria, domandò un indulto di esclaustrazione, che gli fu accordato dalla Santa Sede per poter condurre una vita eremitica. Partito per il Libano dopo un tempo di ricerca, si pose sotto l’autorità del vescovo melkita di Baalbek,  vivendo a Jabbouleh, in un eremitaggio appartenente alla diocesi. Qui visse i suoi ultimi anni, conducendo una vita molto austera e restando sempre in relazioni fraterne con il suo Monastero, che cercò di aiutare con il consiglio.

La sua vita quaresimale non lo chiuse né lo indurì: fu sempre sensibile e pieno d’amore e addirittura di tenerezza verso tutti, gioioso e sorridente. All'unanimità i testimoni evidenziano la sua gioia: nel suo volto si percepiva quello del Signore.

Padre Romano ha vissuto in mezzo ai mussulmani, pregando molto e perdonando, certo che il miglior apostolato fosse quello di condurre insieme a loro e nell’amore per loro una vita povera, immersa nella preghiera e nel lavoro. Sfinito dalle privazioni e colpito dalla tubercolosi, si spense il 19 febbraio del 1978, all’età di 56 anni, all’ospedale di Beyrout, dopo 32 anni di vita monastica, di  cui 14 passati in solitudine.

 


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