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Nella Solennità dell’Epifania, della manifestazione del Signore, si può fermare l’attenzione su un pensiero ‘laico’ di un filosofo tedesco: «Un orizzonte è qualcosa verso cui viaggiamo, ma è anche qualcosa che viaggia insieme a noi» (Hans George Gadamer). I Magi, indotti da una stella, si sono messi in cammino verso un traguardo non ancora del tutto precisato. Eppure, durante l’intero viaggio, quel traguardo li accompagnava, era presente nel loro cuore. Si dice, con una certa leggerezza, che i ‘cercatori’ raggiungono la verità, ammesso che lo possano, al termine di un faticoso itinerario. Non è proprio così. I veri, appassionati, ostinati e inappagati cercatori, la Verità ce l'hanno già dentro, almeno a livello di desiderio, di stimolo. La terra promessa non è qualcosa cui si perviene felicemente solo alla fine. La terra promessa la si ha –e occorre che la sia abbia- nel cuore durante tutta l'interminabile traversata del deserto. RINGRAZIARE. Gesù, alla vigilia della sua Passione, la sera in cui istituì il sacramento del suo Sacrificio, prese il pane, ‘rese grazie’, lo spezzò e lo diede ai discepoli. Questo rendimento di grazie di Gesù rivive in ogni Celebrazione eucaristica. ‘Eucaristia’ significa ringraziamento, connotazione che emerge nel dialogo introduttivo alla Preghiera eucaristica, quando, all’invito del celebrante «Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio», si risponde «è cosa buona e giusta», e ancora dal Prefazio, dall’esordio della Preghiera stessa (che esprime il senso e il clima della Celebrazione) : «È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, renderti grazie sempre e dovunque, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Gesù Cristo, nostro Signore». Le parole di tale esordio mettono in rilievo che è ‘giusto’ e ‘doveroso’ ringraziare Dio ‘sempre’ e ‘in ogni luogo’, lasciando trapelare che l’azione di grazie deve essere la modalità peculiare con cui il fedele si rapporta al Padre celeste, a tutto e a tutti: deve essere, in ultima analisi, l’atteggiamento costante dei figli di Dio –gratuitamente amati, perdonati e rinnovati dal Signore-, una dimensione che deve arrivare a corrispondere alla loro persona stessa, come vuole san Paolo: «siate eucaristici!» (cfr. Col 3,15) + NOTA. Proprio la Preghiera eucaristica ci ricorda che la fede cristiana è costitutivamente ‘eucaristica’, sicché solo chi è grato, solo chi vive nella consapevolezza di aver ricevuto tutto (cfr. 1 Cor 4,7: «che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?»), solo chi risponde con il riconoscimento del dono e con la riconoscenza alla gratuità dell’amore, del perdono e della grazia divini, sperimenta veramente l’azione salvifica di Dio nella sua esistenza. Il ringraziamento insomma è «il genere principale di preghiera» (cfr. san Clemente di Alessandria, Stromata VII, 79, 2), è ciò che dobbiamo esprimere sempre al Signore per quanto abbiamo da Lui, incominciando dal Dono della sua Misericordia, Dono messo in speciale evidenza da questo Anno Santo 2016. Non dimentichiamo però che ricevere il Dono della Misericordia divina implica che si divenga a propria volta misericordiosi (cfr. Lc 6,36 con Mt 5, 9 e 45) e perciò operatori, costruttori di pace (cfr. Mt 5,9 e anche Gc 3,18), e significa accogliere quella Pace ‘che sorpassa ogni intelligenza’(cfr. Fil 4,7) e che è il Signore stesso (cfr. Ef 2,14). Quando Lui regna veramente nei nostri cuori e nelle nostre Comunità, siamo benedetti da “Pace e Amore”, da quella Pace che si manifesta e fruttifica nell’Amore, nella Comunione, perché ciascuno si lascia guidare ‘al di sopra di sé’ dallo Spirito Santo, il quale realizza l’Unità ispirando e facendo concretizzare pensieri e azioni di pace e di carità che “tutto copre, spera e sopporta” (cfr. 1 Cor 13,7). INFINE, il ringraziamento cristiano, e in particolare quello più ‘solenne’ e corale della fine dell’Anno, corrisponde a dei volti concreti, a dei nomi che diciamo in Dio e davanti a Lui, pregando con il cuore per chi ci ha beneficato e per chi ci ha rifiutato e non capito, come se facessimo una vera e propria ‘epiclesi’… Ce lo rammenta il Ven. padre Romano Bottegal quando appunta che la gratitudine trasforma, fa passare lo Spirito, lo trasmette : 'spiritualizza la materia’ -questa la sua espressione- così che essa conserva per sempre, eternizza, ciò che di buono vi ha immesso l'azione umana, oppure perde quelle caratteristiche negative che possono averle attribuito gli atti dell'uomo. Ecco il pensiero di Ratzinger e quello di padre Romano circa la riconoscenza: RATZINGER: «[all’Ultima Cena] il ringraziamento quale creatrice anticipazione della risurrezione da parte di Gesù è la maniera in cui il Signore fa di noi persone che rendono grazie con Lui, la maniera in cui Egli, nel dono, ci benedice e ci coinvolge nella trasformazione, che a partire dai doni deve raggiungerci ed espandersi sul mondo: “finché Egli venga” (1 Cor 11,26)» (cfr. RATZINGER, J., Gesù di Nazareth). PADRE ROMANO: «Il problema è constatare come… la materia si “spiritualizza”, come un elemento che non è materia si accompagna alla materia in certi stadi di vita; come noi riusciamo a realizzare un elemento che non è materia ma sopra la materia .. : … un elemento che conferma il bene, distrugge (ripara) il male: cioè il grazie, il perdono. La realizzazione di questo elemento: è, in pratica, Dio raggiunto da noi. [Ed è] Un elemento che il Vangelo, la liturgia, i Santi realizzano bene» (p. Romano, Note). In altri termini, la preghiera riconoscente, oltre ad essere risposta puntuale a eventi in cui si discerne la presenza e l’azione di Dio nella propria vita, è una realtà molto profonda: diviene, da parte nostra, replica di benedizione, di personale donazione, che, unita a quella del Signore per la vita del mondo, ci coinvolge con Lui nella trasformazione dell'universo. + NOTA : Alla vigilia della Sua Passione, Gesù è grato al Padre dell’offerta di se stesso … Essere grati nelle nostre circostanze significa seguire l’esempio del Salvatore: è un atto di fede in Dio, richiede che ci fidiamo di Lui e che speriamo cose che non vediamo, ma che sono vere. La vera gratitudine è dunque un’espressione di speranza e di testimonianza, deriva dal riconoscere che, pur se non sempre comprendiamo le prove della vita, crediamo, al contempo, che un giorno le comprenderemo.
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