PAROLA
VIVERE INSIEME A GESÙ E IN LUI DAVANTI AL PADRE, PER IL PADRE E CON IL PADRE (cfr. Mt 6,1ss) «Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre buono vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina non suonare la tromba davanti a te come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini, in verità vi dico hanno già ricevuto la ricompensa. Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà. Quando pregate non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini, in verità vi dico hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece quando preghi entra nella tua camera e chiusa la porta prega il Padre tuo nel segreto e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà. E quando digiunate non assumete aria malinconica come gli ipocriti che si sfigurano la faccia per farlo vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece quando digiuni profumati la testa e lavati il volto perché la gente non veda che tu digiuni ma solo tuo Padre che vede nel segreto ti ricompenserà». ▬ «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli …» (5,20). Gesù aveva preso come termine di confronto la giustizia abbondante degli scribi e dei farisei, facendo capire che, perché peccatore, l’uomo deve sempre vivere la conversione e uno spirito di conversione. Egli stesso allora ne indica il contenuto, approfondendo elemosina, digiuno e preghiera, un impegno che è un mezzo per volgersi a Dio, incontrandolo nel segreto del cuore, un impegno che, come trapela dalle parole "entra nella tua camera e chiudi la porta", deve terminare in Dio, nell’incontro con Lui. ▬ Quello che conta nell’elemosina, nella preghiera e nel digiuno è l’atteggiamento del cuore: occorre essere sotto lo sguardo di Dio e fare le cose davanti a Lui e per Lui, non davanti agli uomini per essere notati da loro (cfr. theathênai). Il discepolo deve impressionare solo Dio (cfr. Craig S. Keener). L’attenzione deve essere rivolta a Dio che guarda, quindi il cuore deve essere al Suo cospetto. Gesù chiede un atteggiamento fondamentale nella vita religiosa: vivere sotto lo sguardo di Dio, fare le cose per l’approvazione di Dio e basta. ▬ Elia profeta, presentandosi al re del suo tempo, Acab, con il quale è in contrasto, gli dice: «Il Signore Jahwe’ alla cui presenza io sto…», cioè dichiara di vivere alla presenza di Dio e questo gli dà la forza, la capacità di opporsi alla forza del re e della regina di Israele, che arriverà a giurargli di fargli la pelle. Il profeta ha questa sicurezza: il Signore alla cui presenza io sto. Vivere una vita religiosa è precisamente questo: stare alla presenza del Signore e avere il riferimento a Lui come punto essenziale della propria vita, ciò che rende gli altri riferimenti meno importanti. ▬ Se è molto difficile vivere senza tenere conto di quello che gli altri dicono, pensano e si aspettano da noi, è importante che la direzione della nostra vita vada verso il Signore e che ci interessi la Sua approvazione … tanto da considerare poco quella degli altri. Difatti, quanto più si cammina nella vita della fede, quanto più si vive uniti al Signore, tanto più la dipendenza dagli altri diminuisce. E’ vero che, in tutto quello che pensiamo, diciamo e facciamo (elemosina, digiuno e preghiera ne sono i simboli "religiosi") è sempre in gioco il bisogno di riconoscimento. Ma, se lo cerco negli altri, non ne avrò mai abbastanza, resterò sempre schiavo e del giudizio altrui e dell'immagine (idolatria) del mio invece che della realtà di Dio. Invece, se lo cerco in Dio, allora ritrovo la mia realtà in colui che mi ama di amore eterno, ai cui occhi sono prezioso e degno di stima, addirittura un prodigio (Ger. 31, 3; Is. 43, 4) Sal. 139,14)... Il mio essere è il suo vedermi e amarmi. Gesù ci fa capire dunque che le pratiche religiose, in quanto doni fatti al Signore, devono essere immuni dalla ricerca di successo e di applauso umano. Ecco allora che il Signore contrappone la giustizia del discepolo a quella dei farisei, che alterano radicalmente l’atteggiamento religioso, dando spazio all’apparenza, alla ricerca di approvazione o di applausi. Lo esprime il Signore in Mt 23: «Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri, e allungano le frange, amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare Rabbì dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare Rabbì perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli». Notiamo: «Tutte le loro opere –anche religiose!- le fanno per essere ammirati dagli uomini». Tutto deve farsi davanti a Dio, con il cuore davanti a Lui, per averne l’approvazione, e non per avere l’applauso proprio e altrui. Neanche chi compie l’opera sia spettatore di ciò che fa! Ciò che importa è stare davanti al Signore. ▬ «Entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto» (Mt 6, 6). Anche il profeta Isaia invitava Israele così: «Va', popolo mio, entra nelle tue stanze e chiudi la porta dietro di te, nasconditi per un momento!» (26, 20). La preghiera non va esibita per dare o essere d'esempio, ma fatta "nel segreto". Gesù indica come luogo adatto per la preghiera la parte più interna e nascosta della casa che era la grotta che serviva da dispensa (guardate i corvi... non hanno dispensa [tameion]: Lc 12,24). La camera è simbolicamente, il luogo del cuore nel quale ci si può sempre ritirare e dove il Padre vuole incontrarci. Ed è necessario chiudere la porta, altrimenti la realtà del mondo fisico si impone ai nostri sensi, e, invece di essere un mezzo di comunione con Dio, diviene una continua distrazione da Lui. Si deve fare in modo che Dio si imponga sempre più al nostro spirito, in modo che tutta la nostra vita s'identifichi al rapporto, alla comunione con Lui. ▬ Notiamo che il suggerimento di entrare nella camera e chiudere la porta, non ha niente di un ripiegamento su di sé, di un’immobilità dell’anima. Essa deve essere sempre aperta all’azione, specialmente al perdono che è invitata a chiedere prima di presentare la sua offerta di preghiera, a dare a coloro che la affliggono o che essa può aver addolorato. Gesù ci suggerisce una preghiera raccolta, nel silenzio, una preghiera che sgorga dal cuore verso il Padre, nel segreto. Questa preghiera è dialogo, anche se niente è pronunciato, perché il Padre vede i segreti del cuore, ci raggiunge proprio qui: nel più intimo di noi stessi. Il Padre vede là dove nessuno vede, nel segreto del cuore; anzi, il Padre non soltanto vede nel segreto, ma è nel segreto, conosce tutto e tutti. Gesù ci invita a creare questa intima relazione con il Padre e a non restare in una preghiera semplicemente esteriore (dove non è in gioco il nostro cuore e quello di Dio). Anche san Benedetto, tra gli strumenti dell’arte spirituale, esorta i monaci a “credere che in ogni luogo Dio ci vede” (cf. RB 4,49), comprovando tale fede con la loro rettitudine (come evidenzia il contesto). Per lui, occorre vivere alla divina Presenza, e, nel silenzio, conquistare la nudità dello spirito: su di noi deponiamo tanti manti e rivestimenti che non sappiamo più neppure noi stessi chi siamo realmente. Ma nel silenzio, è facilitata la conoscenza di noi stessi, possono cadere le nostre maschere. L’ipocrita è chi non rinuncia alla maschera, chi vive recitando una parte per farsi applaudire, approvare, lodare dagli altri, chi ha una pietà teatrale (cfr. theathênai – da theaomai = dare spettacolo). L’ipocrita è chi, non credendo che Dio vede nel segreto, ha sempre bisogno di farsi vedere dagli altri, della stima degli altri. La vera vita –secondo la Parola del Vangelo- consiste invece nel vivere insieme a Gesù e in Lui davanti al Padre, per il Padre e con il Padre. E… «Non si tratta di concepire la preghiera interiore, libera da ogni forma tradizionale, come una pietà semplicemente soggettiva, da opporre alla liturgia che sarebbe la preghiera oggettiva della Chiesa. Ogni preghiera vera è preghiera della Chiesa; attraverso ogni preghiera vera, succede qualcosa nella Chiesa, ed è la Chiesa stessa che prega, quando, in ogni anima singola, lo Spirito che vive in essa “intercede per noi con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26). Questa è appunto la preghiera vera… Quale sarebbe la preghiera della Chiesa se non l’offerta di coloro che, infiammati da un grandissimo amore, si offrono a Dio che è amore? Il dono di sé a Dio, per amore e senza limiti, e il dono divino in risposta, cioè l’unione piena e costante, è la più alta elevazione del cuore che ci sia accessibile, il più alto grado della preghiera. Le anime che sono giunte a questo punto sono, in verità, il cuore della Chiesa; in esse vive l’amore di Gesù sommo sacerdote. Nascoste in Dio con Cristo (Col 3,3), non possono far altro che irradiare in altri cuori l’amore divino di cui sono ricolme e contribuire così all’adempimento dell’unità perfetta di tutti in Dio, questa unità che era e rimane il grande desiderio di Gesù» (S. Edith Stein (1891-1942), La Preghiera della Chiesa «Il Padre tuo vede nel segreto»).
 


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