Monaco sino in fondo e sino all’ultimo, eremita che si sente sempre unito alla Comunità delle Tre Fontane, Romano vive una vocazione che è ecumenica perché è veramente monastica: il cuore della sua spiritualità. Il seme lo ha accolto in Monastero. Già qui il giovane trappista, meditando sui Sermoni di san Bernardo sul Cantico, aveva preso degli appunti che mettevano in rilievo che la sposa-anima si identifica con la Chiesa e con la missione della Chiesa: volendo corrispondere al Signore, non le basta “di essere attirata” singolarmente, di andare da sola allo Sposo. L’identità e la perfezione della vita sua è di membro, come membro: “Ut omnes sint consummati in unum. Ogni cristiano deve cercare di realizzare per sé, in sé l’unione auspicata da Cristo…e la realizza se egli fa’ un tutt’uno con Cristo, con la Chiesa, con i singoli cristiani di ieri, oggi, domani, così da vivere la vita del corpo mistico per cui le grazie, i dolori, i peccati, i bisogni, i desideri del corpo mistico sono suoi, ed egli ha come interessi quelli del corpo mistico …” (Note).
Come trapela dai suoi Scritti, con la vita anacoretica, il giovane trappista intende realizzare l’umiltà di Gesù, il desiderio di Dio.L’umiltà di padre Romano incarna il suo non anteporre nulla all’amore di Cristo(RB 4,21; cfr. ibid. 72,11), amore preferito in tal modo a séda far scomparire tutto, e in primo luogo se stesso. Romano sa che Dio si compiace degliumili e, per vivere la sua vocazione e missione per il mondo, impara da Maria SS.ma. Nella sua donazione, vuol essere non solo “come il Buon Pastore”ma anche “come la Madre di tutti”.
Egli stesso annota: “Eremita: missionario del lavoro, umiltà, povertà, abbandono, disprezzo” [altrove: “dimenticare se stessi e lavorare nel Cristo, col Cristo, per Cristo”], per “realizzare in sé novissima pascha, gioia di Gesù, umiltà di Gesù, amore di Gesù, preghiera di Gesù, gloria di Gesù”.
“Ciò che importa è la volontà del Signore, la compiacenza dell’amore. Ora se Essa desidera che tu sia l’ultimo: essere ultimo è ciò che importa. … Dio desidera l’umiltà: lasciare agli altri i primi posti …”. L’ultimo posto di Romano e il modo in cui egli lo occupa –lieto e riconoscente- ricorda all’uomo la verità della sua creaturalità, perché egli non ha niente che non abbia ricevuto, e tutto ciò che gli è stato dato deve essere reso a Dio nella gioia e nell’azione di grazie, e condiviso con altri solidarizzando con loro, beneficandoli (cfr. Note).
Romano si sentiva così costituito dal legame con il mistero di Dio, così appartenente alla personalità di Cristo –sua dilatazione e prolungamento-, da percepire la propria esistenza come strumento per il Regno di Dio: minima creatura nel cuore dell’amore e dell’universo; uno con tutto il popolo di Dio; nella Chiesa di Dio, presso l’altare di Dio; ultimissimo chiamato alle nozze, portando il suo minimo dono, all’ultimo posto; contento delle briciole; minimo Cristo, nel quale il Signore vive il suo Mistero.
L’amore trinitario perciò trova in lui, sempre lieto e gioiosamente grato del suo percorso di grazia in ogni tappa e dettaglio, la sua umile beatitudine, accordandogli dioperare, dareper il regno di Dio(cfr. Note).
Tra le annotazioni di padre Romano, ce n'è una checondensa beneil suo messaggio: Dio è soprattutto Gioia. Ed egli hauna vera e propria spiritualità del sorriso. Sappiamo che l'ha conservatoinalterato in ogni circostanza.La sua era vera letizia pasquale, dono dall’Alto, prova del soprannaturale, gioia che sgorgava dall’intimo e che saziava completamente il suo animo. Aveva trovato ciò che ricerca l’uomo di sempre: Dio, la comunione con Lui che soddisfa pienamente. Ma non è ancora tutto. padre Romano ha anche goduto quella gioia denominata festa dello Spirito (Giovanni della Croce): una esplosione di carità che trabocca nel profondo dell’essere come un anticipo della gloria celeste, fervore che infine l’ha spinto alla reclusione (cfr. Note).
Esistenzaeucaristica
L’azione di grazie è il genere più elevato di preghiera, e per essa tutto, come insegna la Scrittura, diviene mezzo di unione con Dio (cfr. I Tim 4,4: «ogni creatura di Dio è buona, e niente è da disprezzare se preso con rendimento di grazie»). Ecco dunque che l’azione di grazie santifica il cuore, lo bonifica, lo rende buono, simile alla divina Bontà.
La gratitudine vissuta da padre Romano, da comprendersi su questo sfondo, è sostanzialmente eucaristica, perché l’eremita ringrazia come ha fatto Gesù stesso: con un “grazie” che coincide con la sua disponibilità, con il suo fiat, con un’apertura che non oppone nulla a ciò che viene dato, che riceve sempre ogni cosa, anche se non è sempre possibile cogliere in che senso essa sia bene.
Padre Romano sembra aver precorso le considerazioni di Benedetto XVI, quando dice che: il ringraziamento di Gesù, all’Ultima Cena, è la maniera in cui Egli, nel dono, ci benedice e ci coinvolge nella trasformazione, che a partire dai doni deve raggiungerci ed espandersi sul mondo: “finché Egli venga” (1 Cor 11,26)» [RATZINGER, J., Gesù di Nazaret. Seconda Parte, Lib. Ed. Vaticana 2011, cfr. p. 163]. Per l’anacoreta italo-libanese, l’inizio di questa trasformazione del mondo è ciascuno di noi quando rende grazie, quando benedice, cioè quando prega. Secondo lui, la gratitudine –come l’amore, la gioia e il perdono- spiritualizza la materia, è potente:
è la realizzazione di “un elemento che non è materia ma sopra la materia [e la “spiritualizza”]… un elemento universale, un elemento fuori del tempo … che conferma il bene, distrugge (ripara) il male”. “La realizzazione di questo elemento: è, in pratica, Dio raggiunto da noi” (cf. Nota 196).
Insomma, la gratitudine verso Dio sortisce, compie l’unione con Dio, la nostra relazione con Lui e la nostra trasformazione in Lui.
Essere grati significa essere trasformati. La riconoscenza è il segno più grande della fede. Per questo il culto cristiano ha il vertice nell’eucaristia, nel rendimento di grazie a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo. |